Finalista al Concorso Letterario 22/11/63
I Edizione – Febbraio 2025
Organizzato da LSD Libri e Minimum Fax
22 novembre
Bologna, 22/11/1920
Dal diario di Alberto
Ieri è stato un giorno di lutto a Bologna. Doveva essere una domenica di festa per celebrare l’elezione a sindaco del compagno Gnudi, mio collega operaio delle ferrovie, quando i fascisti hanno iniziato a sparare dal Ristorante Grande Italia contro il balcone della Sala Rossa. Le guardie rosse hanno risposto al fuoco e poi lanciato delle bombe sulle persone nel cortile di Palazzo d’Accursio credendo che fossero i fascisti di Arpinati all’assalto del Comune. Io ero lì, in mezzo alla piazza, senza capire niente di quello che stava succedendo, e poi ho saputo che ci sono stati dieci morti e cinquanta feriti e che hanno sparato anche dentro la sala del Consiglio comunale ammazzando un consigliere di destra e ferendone un paio. Un lunedì di lutto, per quella che certo sarà ricordata da tutti come la strage di Bologna.
Fortuna che Maria se ne è rimasta a casa con Ettore, che abbiamo davvero rischiato tutti di lasciarci la pelle. Povero figlio, chissà se vedrà mai la rivoluzione.
Wietzendorf, 22/11/1943
Dal diario di Ettore
In un paio di settimane ci hanno ammassato qui come pecore in quarantamila, perché ci siamo rifiutati di collaborare con i tedeschi e con i fascisti. Il secondo giorno dal nostro arrivo Giampieretti era andato a sbattere una coperta vicino al reticolato, senza sapere che non si potesse (la scritta che lo vietava era in russo). Una sentinella tedesca, senza pensarci due volte, gli ha sparato. L’ho veduto per terra, sanguinante, con un’espressione di stupore doloroso negli occhi. Ma gli è andata pure bene. A un russo che era andato a rubare patate in un vagone sfasciato un’altra sentinella gli aveva sparato, ferendolo a una gamba; un ufficiale del Partito, che assisteva alla scena, si è avvicinato al povero ragazzo e freddamente, estratta la pistola, lo ha finito. Poi lo ha fatto seppellire come un cane in fondo a una delle buche scavate dalle bombe. Roba da far stringere i pugni a un santo. Ecco i Tedeschi, quello che non posso ammettere nei Tedeschi: questa freddezza talvolta inumana, questa intransigenza assoluta, che ripugna al nostro equilibrio latino, questa mancanza di comprensione umana. Io non riesco ancora a comprendere il contrasto stridente tra le ammirevoli qualità positive di questo popolo, così disciplinato e così amante della pulizia, della casa, dei bambini, dei fiori, della musica, di tutto ciò che è bello e nobile, e le incredibili crudeltà, le immani durezze di cui hanno dato prova ovunque i suoi soldati, pur così valorosi. È facile attribuire al Nazismo e al Militarismo prussiano questa durezza e queste crudeltà. C’è qualcosa di più profondo: un residuo non sradicato, ancora, di barbarie, qualcosa di ferocemente primitivo, che è forse nel loro sangue.
Bologna, 22/11/1963
Dal diario di Alberto
Eravamo solo noi compagni di scuola nella pizzeria, senza i genitori che ci hanno solo accompagnato e poi se ne sono andati mettendosi d’accordo con la signora della cassa, perché ormai siamo grandi. Proprio oggi ho compiuto 11 anni e non sono più alle elementari!
Ce ne stavamo mangiando le nostre pizze parlando a voce alta facendo solo un po’ di casino quando all’improvviso qualcuno ci ha detto di stare zitti e tutti i grandi si sono ammassati davanti al televisore che trasmetteva il telegiornale. Una signora si è messa la faccia tra le mani e ha urlato: “Madonna!”. Un uomo ha detto: “Ma non è possibile”, un altro ha detto una parolaccia dicendo “Proprio lui, proprio lui…”. Longhi si è alzato da tavola e si è infilato tra le gambe dei grandi per cercare di capire cosa era successo e poi è tornato a dirci che hanno sparato a uno importante, americano. Non erano nemmeno arrivati i dolci, che però io mi aspettavo una torta, quando sono venuti i genitori a prenderci. Anche loro erano molto agitati e hanno detto che dovevamo tornare subito a casa ma io non capisco cosa c’entra un americano che viene sparato – il presidente, hanno detto – col fatto che noi in Italia non possiamo nemmeno finire la pizza e mangiare la torta. Ha ragione nonno Alberto a dire che sono sempre gli americani a decidere quello che dobbiamo fare noi!
Bologna, 22/11/1979
Dal diario di Alberto
Io non l’avevo proprio capito che intenzioni avessero quei due, quando mi hanno chiesto di accompagnarli a Genova. Mi avevano detto che avevano una commissione da fare e in questi casi non si fanno troppe domande. Nel viaggio, la sera del 20, avevamo parlato del più e del meno e non mi ero domandato perché avessero voluto andare a mangiare un panino vicino a quel bar. Poi abbiamo dormito da una compagna che non conoscevo e la mattina dopo si erano limitati a dirmi dove e a che ora ci saremmo trovati per tornare a Bologna. Niente di più di un autista diligente. Poi oggi, leggendo il giornale, la notizia: un maresciallo e un carabiniere ammazzati con 11 colpi di pistola proprio in quel bar.
Io mi chiamo fuori. Non so se e come ci riuscirò, finora sono stato sempre ai margini di certe iniziative, non mi hanno mai coinvolto in decisioni operative e probabilmente anche loro non hanno mai pensato di utilizzarmi se non per cose marginali. E mi sono prestato perché pensavo fosse comunque la parte giusta dove stare: mi aveva convinto Lupo con quella sua frase ad effetto, passare dalla forza della ragione alla ragione della forza.
Sono trascorsi più di due anni da quando i caramba hanno sparato nella schiena di Francesco, il mio amico Francesco, che era nella mia stessa squadriglia degli scout. Allora la città si divise: da una parte noi, dall’altra i blindati con le mitragliatrici schierati lungo le strade. E i bravi cittadini del PCI, lettori del Resto del Carlino, li applaudirono. Un vero tradimento, dato che noi vogliamo portare avanti proprio le idee di mio nonno e dei suoi compagni di sessant’anni fa, le stesse dei compagni partigiani.
Ma ha senso riservare ai carabinieri la stessa sorte che loro hanno assegnato a Francesco?
Mi vengono un sacco di dubbi e, non lo nego, sto cominciando a ragionare da infame.
L’unica è andarsene lontano, fuori da tutto.
Bologna, 24/11/1980
Dal diario di Ettore
Le notizie sul devastante terremoto che ha colpito ieri l’Irpinia è arrivata anche qui, sconvolgendo una città ancora ferita per la bomba, sicuramente fascista, del 2 agosto, con i suoi 85 morti. Ho sempre sentito mio padre raccontare che lui c’era, quando c’è stata la strage di Bologna. Ed ora questa, anche più tremenda, destinata a sostituirla nella memoria della città, e posso dire che io, proprio per un soffio, non c’ero. È proprio vero che la Fortuna è una signora bendata, che del tutto casualmente può toccarti o ignorarti. Io ero alla stazione venerdì mattina, appena 24 ore prima, e ho preso un treno per Riccione. E sono qui a raccontarlo.
Morti su morti, provocati dalla natura e provocati da assassini terroristi. Non riesco ancora a credere che mio figlio Alberto possa essere stato in qualche modo coinvolto in questa assurda spirale di violenza. Rientrato dal suo auto-esilio in Brasile, un mese fa lo hanno arrestato all’aeroporto ed ora farà i conti con la giustizia. Ma forse è meglio così: non ha nemmeno trent’anni e su di lui non ci sono capi d’imputazione pesanti. Riuscirà a cavarsela e a ricostruirsi una vita.
Bologna, 2/11/2002
Dal diario di Ettore
Sono tre giorni che la terra trema nel Molise: la scossa più violenta, l’altro ieri, ha provocato il crollo di una scuola a San Giuliano di Puglia, con la morte di 27 bambini e una maestra. Chissà perché mi vengono sempre da annotare le disgrazie, in questa fase terminale della vita. Ho superato gli ottant’anni, sono in dialisi da sei e necessariamente mi viene da fare dei bilanci.
La mia generazione ha ricostruito l’Italia nella democrazia, e bene o male, con tutti i difetti che ci possono attribuire, fino a dieci anni fa l’ha preservata da pericoli di cadute autoritarie. Poi è stata spazzata via dai giudici di Mani Pulite, ma per essere sostituita da chi? Berlusconi è al suo secondo governo, e chissà per quanto tempo resterà. È un uomo abile, sicuramente intelligente, anche se di discutibile spessore culturale. Ma noi eravamo meglio.
Leggo sempre meno volentieri i giornali, preferisco i libri di storia, che dovrebbero insegnarci a non commettere gli stessi errori. Mi consolo con la famiglia: la mia fortuna è stata quella di sposare Marcella, e prego il Signore di morire prima di lei perché da solo proprio non ce la farei. Poi i miei figli mi hanno dato tanti nipoti ai quali sono legato, e ad ogni mio compleanno vengo sontuosamente festeggiato. L’unico serio cruccio che ho avuto è stato Alberto, con quelle sue disavventure politiche. Ma poi credo che abbia trovato la sua strada, proprio studiando in carcere ed appassionandosi di filosofia del diritto.
Peccato che quando parla non capisco niente di quello che dice.
Trento, 22/11/2002
Dal diario di Alberto
Da quest’anno si celebra in tutto il mondo la Giornata mondiale della filosofia, promossa ogni anno dall’UNESCO il terzo giovedì del mese di novembre, cioè oggi. Le celebrazioni rappresentano, per la comunità internazionale, un’occasione unica per riflettere sulle sfide contemporanee, e per me per festeggiare il mio cinquantesimo compleanno.
Nel mio intervento al convegno intendo sostenere che il principale valore chiamato in causa dalla nuova progettualità che sta interessando il diritto del lavoro sia la libertà, ovviamente assieme ad altri valori cui pure la materia è particolarmente sensibile, come la dignità e l’eguaglianza delle persone, benché quest’ultima, a ben vedere, rappresenti un corollario della libertà nella misura in cui «gli uomini nascono e rimangono liberi ed eguali nei diritti» (Dichiarazione dei diritti dell’uomo e del cittadino 1789) onde l’uomo, per essere considerato persona, deve essere libero in quanto individuo e in rapporto di eguaglianza con gli altri individui in quanto “essere sociale”, come scriveva Bobbio. Fra tutti i valori della modernità, è proprio la libertà quella maggiormente implicata non solo nelle dinamiche dei rapporti sociali di produzione, ma più in generale nella riflessione filosofico-politica: in Lineamenti di filosofia del diritto, Hegel scrive che «il diritto della libertà soggettiva costituisce il punto di svolta e centrale nella differenza fra l’antichità e l’età moderna». Nella filosofia politica hegeliana la libertà, rappresentando il “valore ultimo” su cui gravita l’integrazione normativa delle società moderne, concerne le condizioni e i rapporti oggettivi che consentono l’autorealizzazione individuale, che non va intesa come facoltà giuridica, bensì come “libertà sociale” riferita non solo al singolo, ma a tutte le sfere e ai diversi istituti etici previsti dal diritto positivo, vale a dire la famiglia, i corpi intermedi della società civile e dell’economia, lo Stato.
Bologna, 22/11/2022
Dal diario di Ettore
Oggi, che è il giorno del compleanno di mio padre Alberto, ho superato il concorso pubblico e sono finalmente insegnante di ruolo abilitato per le scuole superiori, e dato che sono arrivato primo in Regione, con molta probabilità potrò insegnare a Bologna nella scuola in cui sono stato supplente per anni come precario. Facendo parte di quella che tutti definiscono una generazione senza futuro, lo considero un buon risultato, che mi consente di fare dei bei viaggi d’estate e di dedicarmi, nel tempo libero, ai miei interessi. Che non sono la politica.
Il mio bisnonno, un comunista sfegatato, sotto il ventennio aveva pure perso il lavoro alle Ferrovie dello Stato, riducendosi a fare il meccanico per conto proprio. Mio nonno, nonostante quello che ha passato nei campi di prigionia tedeschi dopo l’otto settembre, è stato tutta la vita democristiano ed è morto quasi berlusconiano. Mio padre, poi, come ho scoperto da grande, è stato addirittura un quasi-terrorista rosso, prima di buttarsi sulla filosofia.
Insomma, una delle due certezze che mi restano è che non mi metterò in politica a contrappormi con mio padre. E l’altra è che non avrò figli: spezzerò così questa assurda alternanza, anche di nomi, tra primogeniti maschi.
Bologna, 22/11/2042
Dal diario di Alberto
Non so cosa significano questi numeri sopra la torta, mi sembra che siano un nove e uno zero.
La torta però mi piace e ci ho anche infilato un dito dentro per assaggiarla. Ho un po’ di confusione in testa quando vengono tutte queste persone che stento a riconoscere: qualche faccia mi sembra amica, mi sorride, e allora provo a rispondere anche io con un sorriso, se mi ricordo. Sto seduto su questa carrozzella e provo a capire quello che mi dicono. Se non capisco faccio finta, anche perché sento veramente poco, soprattutto da un orecchio, che non ricordo se è il destro o il sinistro. Ecco, forse mi viene in mente una parola che dovrebbe entrarci con questa situazione: compleanno. E mi sembra ieri quel compleanno che eravamo tutti noi bambini a tavola, l’anno in cui è morto Kennedy. Cavolo, mi sono ricordato pure il nome, anche se quando ero bambino non lo sapevo. Ricordo che quel mio compagno, Lungo mi pare che si chiamasse, era andato vicino alla televisione e ci aveva detto che era stato ammazzato il presidente degli americani e poi ci erano venuti a prendere prima di farci mangiare i dolci. Ho sempre pensato che mi sarebbe arrivata una grossa torta. Forse è questa. Quanto ci hanno messo…