Recensioni "Il futuro di Giulia"

RECENSIONI

Dal 1989 al 2005, in un’Italia stravolta dalla politica, s’intrecciano sofferte storie d’amore e di coppia. Il futuro di Giulia, edizioni Transeuropa, è il primo romanzo di Alberto Piccinini. Un altro quarantenne racconta e si racconta, in puro stile “nannimorettiano”.

Barbara Palombelli (La Repubblica, 18 maggio 1995)

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Molte delle cose che racconta ci appartengono: ad esempio il passato del protagonista, che si chiama Andrea ed è un idealista di sinistra “seduto”, bloccato insomma e molto infatuato dell’amico Ugo, che diventerà poi giornalista affermato e che ai tempi del liceo era un capetto. L’ambiente è riconoscibile. La storia, invece, è più complessa.

(…) Il romanzo si dipana nell’arco di un quindicennio affondando le radici, però, anche nell’adolescenza dei protagonisti che incontriamo già adulti. E non si conclude. O meglio: lascia aperte due strade, una più tranquilla e un’altra quasi gialla e onirica.

Andrea Guermandi (L’Unità, 28 maggio 1995)

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In realtà i futuri probabili di tutti i protagonisti del romanzo sono infiniti, come lo sconcertante epilogo ci suggerisce ed è qui evidente un certo indugio dell’autore a propendere per esistenze parallele virtuali in cui ognuno di noi potrebbe, a causa delle scelte via via effettuate, ritrovarsi a vivere vite completamente diverse dall’attuale.

Annarita Vandelli

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Transeuropa è una piccola ma coraggiosa casa editrice specializzata nel lancio di nuovi autori: molti dei narratori italiani che in questi ultimi tempi vanno per la maggiore (da Silvia Ballestra a Enrico Brizzi, solo per fare qualche nome) si sono affacciati in campo lettarario proprio grazie alla fiducia concessa loro da Massimo Canalini, gran capo di Transeuropa. E ora Canalini scommette su un altro esordiente, quarantenne avvocato anconetano di nascita, ma bolognese di adozione, autore di Il futuro di Giulia, un romanzo di recentissima pubblicazione, che potrebbe diventare uno dei best-seller dell’estate. raccontando di amori trovati e perduti, viagi, militanze politiche nella sinistra extra-parlamentare, Piccinin sembra voler mettere in campo in questo libro la generazione dei quarantenni d’oggi, provando a prefigurarne i destini.

(…)

A questo punto la vicenda assume risvolti imprevedibili e avvincono il lettore fino all’ultima pagina, grazie anche allo stile rapido ed eficace di Piccinini, un autore che già alla sua prima prova come narratore dimostra di possedere doti che – ne siamo convinti – gli consentiranno in futuro di regalrci altri romanzi appassionanti come questo.

Luca Gervasutti (Il Messaggero Veneto, 9 giugno 1995)

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Le vicende del romanzo sono scandite dagli anni, come in un diario: 1989 -2005 (…).

Al diario si alternano i personaggi, che entrano in scena ad uno ad uno, per raccontare direttamente la propria vita. Avventurosi viaggi in Oriente, ricordi di amicizie fatte sui banchi di scuola, sullo sfondo di “un’Italietta post-fascista in niente diversa da quella prima della guerra”; e il mondo subito dopo “travolto da cambiamenti inimmaginabili” o almeno così sembrava alla piccola organizzazione dove Andrea si trovava a militare insieme ai migliori delle sua generazione. Il salto dalla provincia alla grande città, gli amori e le lotte, l’avventura collettiva di essere comunisti negli anni settanta. Poi la crisi, l’allontanamento dalla politica attiva, il lavoro, la famiglia, i soldi, le scelte individuali che separano, sentimenti e paure appartenenti ormai al privato di ciascuno. Queste entrate in scena dei personaggi, nelle quali essi cercano di mettere insieme frammenti della propria storia, compresa Giulia (che lo fa con il linguaggio poetico dei bambini), appaiono forse le meglio riuscite del romanzo, che è anche una specie di thriller, in cui l’autore sembra divertirsi a giocare con la trama, trasformando nella terza parte la caduta di tanti ideali in un quadro fantapolitico, rovescio scherzoso dell’utopia del ’68. Ma se anche quell’utopia fosse diventata realtà, e questa storia si fosse potuta sviluppare in maniera diversa, il protagonista non sarebbe sfuggito al suo persecutore. Epilogo amaro? Finale aperto? E almeno il futuro di Giulia si può immaginare diverso?

Maria Grazia Maiorino (Il Corriere Adriatico, 15 luglio 1995)

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Succede nelle prime prove che la memoria delle cose viste e vissute prevalga. Succede anche qui e anche se la storia sembra cominciare nel 1989, in realtà comincia prima di concludersi (in modo inquietante) in un futuro ancora lontano, qualche anno dopo il Duemila. Piccinini scruta nel nostro passato prossimo per raccontarne illusioni e debolezze, affetti speranze e amori. Usa una prosa diretta che potrebbe essere cinema, sa guardare con coraggio, dando alle frasi del linguaggio quotidiano di cui son fatti i suoi dialoghi, una risonanza che, chissà perché, le fa suonare commoventi

Corrado Augias (Il Venerdì di Repubblica, 22 settembre 1995)

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Tanto per cominciare, la storia si svolge a Bologna, nel 1989.

Andrea, ex studente fuorisede, di origine marchigiana, si è sposato con Laura, conosciuta ai tempi dell’Università, e da lei ha avuto una bambina, appunto la Giulia del titolo.

Andrea e Laura si trasferiscono a vivere in periferia, in un quartiere anonimo, dove non conoscono nessuno. Sul loro stesso pianerottolo, abita Teresa, una ragazza siciliana che a 18 anni aveva lasciato casa e fidanzato per seguire – con Davide – un sogno di libertà poi scontratosi con la realtà della droga. Teresa vive con Davide, violento e tossicomane, e ha una figlia.

Una sera, Teresa fugge dal suo appartamento – dopo che Davide in preda alla droga ha tentato di darsi fuoco – e si rifugia in casa di Andrea, che è solo. I due passano la nottata a raccontarsi reciprocamente le loro vite.

Al mattino dopo, Teresa prende finalmente la decisione di andarsene, e con la figlioletta fugge all’estero: e di fatto scompare definitivamente dal romanzo.

Ripresosi dal tentativo di suicidio, Davide ritorna a casa e viene a sapere che la moglie Teresa – prima di fuggire – ha passato la notte da Andrea: e inizia a minacciarlo, ritenendolo responsabile della scelta della moglie. Andrea ha paura, e decide allora che l’unica via di scampo è la morte di Davide. E allora contatta – tramite un compagno di scuola ex terrorista rivisto a una cena di classe – un ex detenuto per farlo eliminare. L’omicidio in effetti c’è, seppure con modalità imprevedibili: e Andrea recupera la sua tranquillità, che però è subito scossa perchè inaspettatamente (per lui, che non si era accorto di nulla) la moglie lo lascia.

Il seguito è tutto un precipitare di eventi per così dire “fantapolitici”, perchè la narrazione, che è cominciata come si è detto nel 1989, si dipana fino ad un futuribile 2005, fino a coinvolgere non più Andrea e Laura, ma la loro figlia Giulia, anzi “il futuro di Giulia”.

Fin qui la trama, seppure raccontata per sommi capi, e con la reticenza che si conviene quando si parla di un giallo.

Ma nel libro di Alberto Piccinini la trama è l’occasione, il pretesto per raccontare tutto quello che ci sta intorno.

La città, tanto per cominciare, che è la Bologna dei fuorisede: una città parallela, allegra e moderatamente laboriosa, clandestina, tanto da essere, secondo un giallista famoso, il luogo ideale per i terroristi (“ma lei lo sa che negli anni settanta stavano qui tutti i terroristi, tutti nascosti a Bologna, e lo sa perchè? perchè in qualunque città un ragazzo strano, con un accento strano, che entra ed esce di casa a tutte le ore del giorno e della notte e non si sa chi è, cosa fa e di che vive e a volte sparisce e poi torna, in qualunque altra città sarebbe stato notato da qualcuno, ma a Bologna no. A Bologna questo è l’identikit dello studente medio”: Carlo Lucarelli, Almost blue).

E poi il racconto dell’impegno politico del protagonista, che passa dall’ingenua certezza di stare “con i migliori della nostra generazione” (pag. 22) alla percezione – venticinque anni dopo – di essere “in qualche modo una promessa mancata” (pag. 49) fino forse ad arrivare alla conquista di quella “identità faticosa ma preziosa che – come ha scritto Adriano Sofri – viene da ciò che si è stati e si è smesso di essere, dalla forza di una fede e dalla conoscenza del suo scasso”.

Alberto Piccinini rivive, nei racconti dei suoi personaggi, che prendono la parola a turno (propriamente: giacchè sono frequenti gli incisi nei quali i vari personaggi parlano in prima persona) un mondo che ha attraversato: ma lo fa con grazia che non indulge alla nostalgia o al solipsismo, e con un filo di ironia.

Anche se la nostalgia ogni tanto fa capolino, come nel repentino ricordo dei ritorni a casa sulla A14 “quando la piatta pianura cui sono abituati i padani improvvisamente si trasforma in una campagna sinuosa, ondulata”.

E nel racconto ci sono anche tracce di avventure sentite raccontare, ma non per questo meno vere: come quella di Teresa, e della sua fuga di casa verso Istanbul per prendere il “magic bus” per Kabul che partiva ogni due o tre giorni quanto era pieno (cosa rigorosamente vera, e che però appartiene ovviamente al periodo antecedente alla guerra del Libano e poi a tutte le guerre successive, che hanno reso del tutto impossibile questi viaggi via terra).

E ancora, la fine obbligata di questo e di tanti simili viaggi a Goa e dintorni, e l’istupidimento nella droga. racconti di vita avventurosa che – riflette lealmente il narratore (pag. 34) – un po’ lo spaventava “per il semplice fatto che lui non la avrebbe mai fatta”: e dalle quali prende le distanze anche nella fantasia, facendola vivere ad una ragazza siciliana di un paese (non nominato) della Sicilia orientale, scappata di casa lasciando il fidanzato laureato in legge “che la rispettava” in compagnia di un motociclista “che la spogliava con gli occhi”.

E’ questa la parte che ci è piaciuta di più del libro: quando il romanzo giallo diventa un pretesto per l’autore per parlare della esperienza di vita delle quali è stato testimone, e che ha vissuto, e riconciliarsi con loro, perchè possano essere un piccolo granello nella costruzione del “futuro di Giulia”.

Giuliano Berti Arnoaldi Veli