RECENSIONI
Amori svogliati, amori dolenti, amori frettolosi, amori traditi, amori frustrati, amori incompresi, amori fraintesi, amori mercenari, amori che forse stavolta è la volta buona e amori che resto con lei (o lui) anche se non l’amo più. “Amori difficili” degli anni Duemila, quasi un aggiornamento sul tema affrontato cinquant’anni or sono da Italo Calvino in modo simile, cioè con una raccolta di racconti apparentemente indipendenti uno dall’altro ma che si leggono come un romanzo a senso unico, nell’ansia di scoprire, pagina dopo pagina, come andrà a finire: ma ci sarà un lieto fine, per i personaggi di questi racconti, e per i lettori che inevitabilmente in essi si riconoscono? La legalistica appendice conclusiva è cinicamente beffarda, oppure è la riprova che, nonostante tutto, bisogna comunque sperare, provare, aspettare che prima o poi l’amore arrivi?
Un libro sui tanti modi in cui oggi cerchiamo l’amore, per chiedersi perché facciamo sempre più fatica a trovarlo e, soprattutto, a conservarlo.
Enrico Franceschini
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Gli uomini non hanno un cuore? L’autore ce l’ha, intriso di struggente romanticismo che trasferisce integro nei bei racconti di un’antologia, breviario degli amori perduti. Errori che si affastellano, inconsapevolezze, crudeltà gratuite, illusioni. Per entrare in quel cuore che gli uomini ci nascondono…
Erica Arosio (Gioia)
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Questo nuovo lavoro di Alberto Piccinini raccoglie un insieme di brevi narrazioni apparentemente autonome l’una dall’altra, eppure collegate tra loro non solo da un filo conduttore, bensì da un vero e proprio progetto letterario, alla base del quale c’è la volontà di indagare il sentimento principe per antonomasia, declinandolo in tutte le sue varianti, in parte anche sul piano stilistico.
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Attraverso diari intimi e riflessioni, storie intrise di cinismo e altre di masochistica ingenuità, Piccinini tenta – spesso con successo – di leggere i passaggi culturali e di costume della nostra contemporaneità, fortemente segnata dalla “questione amorosa” capace di oscurarne altre. Ad essere messi a nudo sono i meccanismi che regolano i rapporti uomo/donna – via via modificati dalla trasformazione dei modelli di vita – nonché i difetti, le meschinità, gli egoismi e gli (auto)inganni che caratterizzano le diverse fasi con le quali si compone il “discorso amoroso”.
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Piccinini dimostra di aver fatto i conti con certi “classici” imprescindibili, ma anche di essere in grado di ritagliarsi un piccolo e importante spazio indipendente di elaborazione, frutto di un approccio talvolta ironico e della capacità di adattare determinati temi al contesto attuale.
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Il libro affronta anche tematiche più strettamente correlate alle vicende di ordine sentimentale, come la perdita e l’assenza (ottimo, nello specifico, il racconto più lungo, intitolato “L’amore perduto”), ma lo fa sempre all’insegna di una concezione per nulla scontata, in base alla quale si può parlare dell’uinverso anche parlando del proprio privato (o, se preferite, del giardino di casa propria, come diceva un grande scrittore francese).
Stefano Tassinari
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Ogni protagonista perde, sta perdendo o ha già perso l’amore, ma senza per questo provocare malinconici e devastanti struggimenti, e tantomeno rigurgiti moralistici, tutt’altro. L’autore guarda, divertito, questo mondo in perpetuo movimento, sempre pronto a rivedere la necessità dei suoi più solidi legami, e sembra quasi agevolarne il disfacimento e il suo scioglimento, con ironica e un po’ beffarda consapevolezza.
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Una cifra importante del raccontare di Piccinini, e che non possiamo trascurare da questa breve discussione, è anche il gusto del paradosso, che si manifesta con trovate e divertissment strepitosi, in racconti brevi e rapidi come frecce. (…) E di “colpi di teatro” in questi racconti ce ne sono diversi, e sempre di notevole effetto.
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Ma la scrittura di Alberto Piccinini, a parte questi intermezzi di vero divertimento (e virtuosismo) narrativo, si misura poi con continuità e assiduità con il tema classico della crisi coniugale. E’ qui che la perdita dell’amore (si veda il racconto più lungo e articolato dell’intera raccolta, L’amore perduto) assume tutta la sua valenza e i riferimenti alla tradizione letteraria italiana di un Calvino o di un Moravia, nella loro chiarezza e spietatezza di analisi – ma manche a certe atmosfere musicali provocate da cantautori come De Andrè – sono più chiari e precisi. Il registro spesso mutante di questo autore, così abile nell’entrare e uscire anche stilisticamente da dimensioni sempre diverse, ha una particolare sensibilità, quasi una simpatia dolente, per i veri sconfitti di queste danze amorose.
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Racconti variati, racconti diversi, in una molteplicità di prospettive e di punti di vista che ripercorrono le tante strade degli amori perduti. (…) Piccinini sa coinvolgere il suo interlocutore in una lettura appassionata, che difficilmente riesce a interrompersi, anche tra un racconto e l’altro. L’amore forse si perde, ma le ragioni che ci spingono a raccontarlo e a leggere le sue storie in modi sempre nuovi e inediti, certamente no.
Romano Vecchiet
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I racconti sono davvero diversi. Alcuni sono molto brevi, e si risolvono in una trovata inattesa. Altri sono brevi quadretti che prendono spunto dalla osservazione della vita reale: potrebbero essere la trama di un cortometraggio. Alcuni ancora sono surreali, quasi un ricordo di quella serie televisiva che si chiamava “Ai confini della realtà”. Altri, infine, e sono i nostri preferiti, sono racconti più estesi, ruotano attorno ad un sentimento dietro al quale stanno persone totalmente vere, alle cui vicende umane non si può non partecipare.
(…) Quello che accomuna tutti i racconti del libro – a dispetto del titolo – non è solo la perdita dell’amore, di una comunione, di una fede o di una speranza: ma è soltanto la constatazione che c’è (quasi) sempre una svolta impensata. Ma dopo la svolta, il cammino delle persone continua ancora, con una identità rinnovata, con la consapevolezza (faticosa, ma preziosa) data dal sapere di avere avuto una fede e di averne visto lo scacco; in una direzione diversa. Chissà, forse è andata così anche ai due ragazzi della copertina.
Giuliano Berti Arnoaldi Veli