Fui io, proprio io personalmente, e non me ne pento, a provocare la calata del liquido, soffermandomi con indifferenza ad assistere al loro lento dissolvimento, tra inutili contorcimenti.
Quelli che erano stati dei corpi divenivano, davanti ai miei occhi, un qualcosa di amorfo e con un sottile piacere iniziavo a godermi la loro progressiva disintegrazione.
Mi sarei quasi aspettato, anche se mi rendo conto dell’assurdità della cosa, di udire grida di disperazione.
In quel momento mi ritornò in mente una fanciulla con la quale avevo avuto e poi interrotto una relazione, la quale insinuò che io mi compiacessi a frequentarla ancora nella fase successiva alla separazione, nell’improbabile ruolo dell’amico confidente. Anzi ricordai che ella mi aveva esplicitamente accusato di essere un mostro, provando piacere nell’assisterla e nel confortarla rispetto alla sofferenza da me stesso provocata. E mi aveva chiesto se da piccolo staccavo la coda alle lucertole. Ritenni quelle osservazioni semplicistiche, e la domanda impertinente, e mi comportai di conseguenza.
Non saprei spiegare il motivo di quell’associazione mentale con i gesti che, lentamente, stavo svolgendo e proseguii nell’operazione, ma certamente mi irritai nel ricordo di quella situazione e delle ingiuste accuse che avevo subito. Avevo certamente fatto bene a cessare di frequentarla.
I corpi avevano ormai del tutto perduto la loro natura solida. Quando non rimase nulla di quelle che furono due zollette di zucchero, potei gustarmi il mio caffè.